Jean BERAUD (1848-1935): L’ATTESA. In questo inizio anno i mercati, come per altro hanno fatto in molte altre occasioni(!), si trovano nell’attesa che diverse questioni siano risolte parzialmente o chiarite.
La Brexit sembra sempre lontana da un accordo. I rapporti tra Pechino e Washington restano in un limbo. La politica europea, oltre ad essere ormai in vista delle elezioni, vede Macron ancora in difficoltà. Powell ha fatto una parziale retromarcia sul percorso di rialzo dei tassi. Trump, come dire, non offre serenità. La Cina ha modificato la riserva obbligatoria. Ottimi i dati sugli occupati statunitensi. La fine del QE e del mandato di Draghi.
Theresa May appare sempre in difficoltà nel raggiungere la maggioranza necessaria a far passare l’accordo raggiunto con l’Europa. Si avvicina la prospettiva di un mancato accordo, il governo ha fatto persino fare delle prove con dei TIR per verificare l’impatto della probabili code alle frontiere di Dover.
Se davvero si arrivasse a questa opzione Londra potrebbe perdere l’Irlanda del Nord e poi, probabilmente, anche la Scozia. Nel caso dell’Irlanda potrebbe essere indetto il referendum previsto dagli accordi del Venerdì santo del 1998; in base ai risultati ottenuti dal remain in Irlanda è ragionevole pensare che le sei contee dell’Ulster sceglierebbero Dublino per restare in Europa. Per la Scozia ottenere un secondo referendum (*) sarebbe più complicato, ma certo, come dire, la strada sarebbe aperta. Le conseguenze economiche della Brexit restano da vedere, ma è probabile che non sarebbero felici e che l’idea di poter crescere grazie ad accordi commerciali separati con Cina, Giappone ed USA, per tacer dell’India, si riveli un’illusione. L’altra opzione principale sul campo potrebbe essere quella di un secondo referendum il cui esito non appare, comunque scontato. Una terza ipotesi è quella che il termine per raggiungere un accordo sia prolungato in modo da evitare che la scelta definitiva debba essere presa nei prossimi giorni. La data del 29 marzo appare, comunque salda a causa delle prossime elezioni europee nelle quali è necessario sapere se Londra ci sarà o meno.
Anche a Washington non mancano le incertezze dettate per lo più da Trump. A dicembre sono stati creati più di 310.000 nuovi posti di lavoro a fronte di previsioni per 180.000.
Un elemento che ha dato respiro a Wall Street che aveva sofferto per il calo di fatturato di Apple e per dichiarazioni della Casa Bianca contro la FED. Ad inizio anno si è insediato il nuovo Congresso a larga maggioranza democratica, grazie alla conquista di 40 seggi, che sta sfidando Trump sul muro al confine col Messico, un tema su cui torneremo a breve. Al Senato invece i repubblicani hanno rafforzato la loro maggioranza, hanno 53 senatori contro i 47 dei democratici, e non mancano le polemiche sul “gerrymandering” ossia sul modo in cui i collegi elettorali sarebbero stati rimodellati dagli eletti di Trump per assicurarsi la vittoria. L’abitudine di intervenire sui confini dei collegi per lasciare dentro o mettere fuori aree in cui si ha la certezza che i cittadini, magari per la loro razza, votano in un certo modo è una questione finita più volte davanti ai tribunali.
A marzo se ne occuperà anche la Corte Suprema (Come rubare un’elezione è il tema del grafico qui sopra). Il fenomeno si è esteso, in qualche misura, anche ai governatori che, tramite azioni di maggioranze parlamentari uscenti già sicure di non essere confermate, hanno trovato poteri ridotti.
Il blocco del bilancio federale, il cosiddetto shutdown, è, in qualche modo, un classico dell’economia statunitense, dato che esiste un tetto al debito pubblico che non può essere superato se non con un provvedimento di legge. In assenza di tale provvedimento molte attività rimangono bloccate specie se il blocco si prolunga: periodi brevi sono in realtà già previsti nei bilanci delle amministrazioni che rischiano di non vedersi rinnovare i fondi. Come è noto, l’attuale crisi è stata voluta da Trump, per ottenere i fondi per ampliare il muro al confine col Messico, e rischia di diventare la più lunga della storia. Il presidente è riuscito ad evitare che rimanessero bloccati i rimborsi fiscali, ma molte situazioni critiche rimangono, tra cui spiccano gli agenti del servizio segreto e gli operatori della sicurezza aeroportuale senza stipendio che, pur essendo tenuti a presentarsi al lavoro, stanno facendo largo uso dei certificati di malattia. In totale sono 800.000 i lavoratori coinvolti. Questa notte sia il presidente che i democratici hanno tenuto un discorso a reti unificate per commentare la situazione che non si è sbloccata.
Tornando all’economia, e alle performance di Wall Street, ha aiutato molto l’ennesima(!) “assunzione di responsabilità” di Pechino che ha deciso di ridurre il coefficiente di riserva obbligatoria delle proprie banche per evitare un deciso rallentamento dell’economia. Si calcola che siano state liberate risorse per prestare 120 mld di dollari. Una mossa che Pechino ha fatto pur avendo un ammontare di debito che non avrebbe bisogno di essere aumentato. I pessimisti poi si divertono anche a citare il sistema bancario ombra, quello cioè che eroga al di fuori dei controlli tipici per l’attività bancaria. Pechino ha approvato anche progetti di investimento per circa 125 mld di dollari nei prossimi mesi.
Inoltre, tornando agli USA, Powell ha detto che la politica di aumento dei tassi potrebbe subire uno stop grazie alla debolezza dei mercati azionari e delle materie prime che contrastano eventuali tensioni inflazionistiche legate alla piena occupazione. Non manca chi ricorda che aumentare i tassi sia una buona mossa per prepararsi ad una nuova possibile recessione che qualcuno vede indicata dalla curva dei tassi statunitense che appare molto piatta se non prossima all’inversione(**).
Ricordiamo che i tassi di Washington sono stati rialzati 4 volte nel 2018 e sono attualmente pari al 2,5%. La FED sta anche proseguendo il tapering ossia sta togliendo liquidità dal sistema ad un ritmo di 50 mld di dollari al mese.
Le tensioni commerciali tra U SA e Cina, parzialmente responsabili del crollo in Borsa di Apple, saranno oggetto a breve di nuove trattative. Trattative che dovrebbero, come dire, tenere conto del fatto che oltre ad Apple c’è, per esempio, General Motor che vende più auto in Cina che in nord America. Apple ha denunciato un deciso calo delle vendite nel suo terzo mercato, che è anche quello in cui produce le parti più sensibili dei suoi telefonini da importare negli Usa per l’assemblaggio finale: la Cina.
Un’instabilità politica potrebbe crescere anche in Francia ed in Germania. In Francia l’attuale protesta nasce da un senso di abbandono che prova la periferia di un Paese, che ha una estensione territoriale doppia di quella italiana e tedesca, visto che, ormai da diversi anni, vengono raggruppati comuni, chiusi uffici postali ed ospedali. In Germania la Merkel, dopo aver lasciato il partito, sia pure ad una sua candidata, potrebbe essere costretta a lasciare il governo prima della fine del mandato. Al contrario l’AFD (Alternative für Deutschland – partito politico tedesco di destra ed euroscettico), partendo dai 94 seggi nel parlamento federale (e in tutti gli altri parlamenti regionali), potrebbe crescere. Attualmente i sondaggi relativi alle elezioni europee di fine maggio, che vedranno coinvolti 400 milioni di elettori, non danno la maggioranza ai partiti populisti, resta però l’incognita della sostituzione di Draghi ed inoltre il debito italiano viene ancora tenuto sotto controllo, anche a causa di uno spread che non è sceso clamorosamente: è sempre intorno a 270 punti.
Vale giusto la pena di ricordare che l’euro, all’inizio di gennaio, ha compiuto 20 anni e che la moneta non ha ancora trascinato nessun tipo di politica comune. Gli eserciti europei hanno ancora 17 tipi di carro armato, l’unione bancaria ed il meccanismo comune di garanzia dei depositi ancora non esistono.
Ciò nonostante, secondo l’ultimo sondaggio o eurobarometro che dir si voglia, il 74% degli europei è a favore della moneta unica: il livello più alto dal 2002 e già toccato lo scorso anno.
La crescita economica globale è sempre attesa sopra il 3 per cento e questo lascia sostanzialmente intatta al momento la possibilità che il mercato non sia di fronte ad un inversione di tendenza, ma che debba soltanto fronteggiare un aumento della volatilità: il 27 dicembre il Dow è passato dal perdere 600 punti a guadagnarne 260. Gli alti e bassi dovrebbero, comunque diminuire man mano che la nuova FED di Powell riuscirà a trovare una modalità di comunicazione con i mercati meno confusa. Merrill Lynch nel suo ultimo report settimanale ricorda un libro in cui Ben Bernanke, uno dei predecessori dell’attuale governatore della FED (***), sostiene che la politica monetaria sia comunicazione per il 98% ed azione per il 2%. Lo stesso report fa presente che il P/E dell’S&P 500 è pari a 14 conto il valore di inizio anno che era pari a 18.
Come è noto il rapporto prezzi utili indica in quanti anni è possibile recuperare il prezzo pagato per acquistare un azione tramite gli utili e, quindi, più basso è questo rapporto, migliore è l’appetibilità dei titoli.
(*) Un primo referendum per l’indipendenza scozzese si è tenuto a settembre del 2014 ed è stato vinto, con il 55% dei voti, dagli unionisti.
(**) Una curva dei tassi invertita ossia una nella quale i tassi a breve sono più alti di quelli a lunga può segnalare uno stato di crisi nell’economia. Normalmente si accetta l’idea che per indebitarsi a lungo termine si debba pagare di più, ma in momenti di crisi prevale la domanda di credito a breve termine perché non si ci avventura in investimenti a lungo termine e questo, in un banale omaggio alla legge della domanda e dell’offerta, fa invertire la curva.
(***) Ben Bernanke è stato governatore della FED dal 2006 al 2014; famoso un suo discorso del 2002, per il quale è stato ribattezzato Helicopter Ben, nel quale ha, in pratica, lanciato il QE: il rimedio ai mali dell’economia proposto fu quello di inondare i mercati di liquidità ossia “lanciarla dall’elicottero” !
G.G e M.R.
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