William Henry Midwood (1833-1888): UN MARE CALMO. I mercati sembrano improntati ad un discreto ottimismo sulle prospettive dell’economia.
Le tensioni commerciali tra Pechino e Washington appaiono in calo per quanto Trump non abbia trascurato di vivacizzare il clima mondiale tornando a parlare di dazi contro le auto europee. La Brexit non ha fatto passi avanti, nei prossimi giorni sono previste ulteriori votazioni a Londra che potrebbero portare ad una soluzione, ma il cosiddetto no deal rimane possibile. La politica monetaria resta espansiva su entrambe le sponde dell’Atlantico evitando così conseguenze per il rallentamento economico che è persino accolto con favore in quanto allontana le tensioni inflazionistiche.
Un accordo sulle tariffe commerciali tra Cina ed USA sembra a portata di mano. Tra pochi giorni Pechino dovrebbe approvare una legge sugli investimenti stranieri che affronterà il tema dei trasferimenti forzati di tecnologia,
Pechino inoltre sembra intenzionata a comprare buone quantità di soia e frumento permettendo così a Trump di far rientrare le proteste di una lobby che è stata pesantemente colpita dai dazi in vigore. La scadenza dei primi di marzo, imposta da Trump, è stata prorogata e si parla di un nuovo incontro tra i due presidenti nelle prossime settimane. Impedire il progredire di una guerra commerciale ovviamente è nell’interesse di entrambi anche se la Cina, come è ovvio data la natura del suo ordinamento politico, è sottoposta a minori pressioni. Il primo ministro cinese recentemente ha anche annunciato un obiettivo di crescita, per il 2019, leggermente inferiore a quello del 2018 quando il PIL è cresciuto del 6,6%. Le autorità cinesi cercano di rendere sostenibile la cr escita nel lungo periodo e non hanno interesse a performance eccessive. Pechino ha anche annunciato tagli alle tasse per 300 miliardi, un incremento del 30% per i prestiti ai privati ed investimenti in infrastrutture in grado di generare undici milioni di posti di lavoro nelle aree urbane (*). Restano le tensioni sul fronte Huawei, il Canada ha autorizzato l’estradizione della figlia del fondatore e Pechino ha risposto accusando di furto di segreti di Stato i due canadesi arrestati a dicembre subito dopo il fermo di Meng Wanzhou. Una delle ultime copertine dell’Economist cerca di fare il punto sulle riforme che l’occidente chiede alla Cina. In particolare viene criticato l’eccessivo peso dato alle industrie statali da Xi, vengono poi citate la necessità di far fallire le imprese in perdita e di consentire ai cinesi di investire sui mercati finanziari esteri. Al calo delle tensioni commerciali con la Cina potrebbe, però far da contrappeso un r iaccendersi di quelle con l’Europa. Circa due settimane fa alla conferenza per la sicurezza di Monaco, un appuntamento che rappresenta per la geopolitica ciò che Davos rappresenta per l’economia, si sono registrate posizioni molto distanti tra USA ed Europa. In particolare, oltre a divergenze sul comportamento da tenere con Teheran, si è parlato ancora di dazi sulle auto. Trump starebbe considerando l’ipotesi di giudicare l’esportazione di auto una minaccia alla sicurezza nazionale, una clausola già usata, senza motivo, per aggirare le regole del WTO quando ho imposto dazi su alluminio e acciaio (**).
Per quanto riguarda la Brexit la May è attesa nei primi giorni della prossima settimana da un nuovo voto con cui spera finalmente di far accettare ai parlamentari inglesi l’accordo raggiunto con l’Europa. Un accordo che, nonostante le promesse e l’impegno, non è riuscita a modificare perché Bruxelles non intende “abbandonare” Dublino e dare a Londra assicurazioni circa la temporaneità del backstop a prescindere dal tipo di accordi raggiunti. Se non dovesse ottenere il consenso richiesto allora il primo ministro britannico inizierebbe quello che possiamo definire un percorso ad ostacoli. Il giorno dopo ci sarà un altro voto per decidere se uscire senza un accordo; se la risposta sarà no ci sarà un terzo voto per prorogare i termini dell’uscita. Naturalmente si aprirebbero, come dire, scenari interessanti visto che sui termini della proroga tutti sembrano aver idee diverse. Il governo pensa a pochi giorni, ma altri si spingono ad immaginare che il parlamento possa rimangiarsi tutto visto che, in fondo, il referendum era solo consultivo. Nel caso che il primo voto vada secondo i desiderata della May dalla fine del mese partirebbero le trattative per definire gli accordi successivi all’uscita di Londra dall’UE. Le attese circa l’esito del primo voto non sono certe per quanto non siano disastrose come quelle che avevano riguardato il voto precedente inizialmente rimandato e poi, comunque perso dal governo. L’aspetto, al momento, più curioso della politica inglese è che nessuno dei due partiti principali ha una posizione univoca e coesa.
L Lasciando la geopolitica e venendo ai mercati possiamo dire che continuano a essere ben impostati grazie alla politica monetaria che rimane espansiva su entrambe le sponde dell’Atlantico, allo scopo di evitare che l’economia entri in difficoltà.
La BCE ha annunciato che i tassi resteranno invariati sino alla fine dell’anno e non più soltanto per tutta l’estate come dichiarato in precedenza, inoltre ha annunciato il rinnovo del programma di finanziamento alle banche per consentire loro di effettuare prestiti a famiglie ed imprese (LTRO). Si tratta del terzo provvedimento di questo tipo dopo quelli del 2014 e del 2016, in questo caso la scadenza però torna ad accorciarsi, più in linea con l’uso originario di questo strumento che era di pochi mesi, scendendo a due anni. In USA, dove per inciso ricorre in questi giorni il decennale dell’inizio dell’attuale fase di rialzo dei mercati azionari, la FED sta passando dal quantitative easing al quantitative tightening (dalla politica monetarie espansiva ad un restringimento monetario, come mostra l’immagine!) ma in sostanza rimane un ampio supporto al mercato. Il bilancio della FED, un modo per indicare la quantità di titoli acquistati per fornire liquidità al sistema, è passato da 900 miliardi di dollari prima della crisi a un massimo di 4500 miliardi nel 2017. La banca centrale statunitense ha cominciato a ridurre il suo bilancio evitando di reinvestire i proventi generati sulle obbligazioni in scadenza, ma è improbabile che possa tornare ai livelli pre-crisi. Secondo UBS si ridurrà solo fino a circa 3500 miliardi di dollari. Gli ultimi dati sull’occupazione sono stati notevolmente al di sotto delle attese: 20.000 nuovi occupati contro aspettative per 170.000, in compenso sono risultati buoni i dati sulla costruzione di case e sulla crescita dei salari. Sull’entità del debito pubblico statunitense non manca un dibattito che potremmo definire europeo, un dibattito che per ora è in sordina, ma che preoccupa qualche economista che ritiene pericoloso abusare della capacità di stampare moneta. Il rendimento dei decennali statunitensi dopo aver toccato il punto massimo al 3,25% nel quarto trimestre 2018, durante la fase di flessione azionaria, è sceso a quota 2,55% per poi risalire ma di poco. Attualmente è al 2,65%, un elemento che rende meno interessante l’alternativa ai mercati azionari che si era delineata con i tassi decennali sopra il tre per cento. E’ probabile che la FED quest’anno si limiti solo ad un altro rialzo di un quarto di punto nel terzo trimestre grazie ad un’inflazione che ha buone possibilità di rimanere contenuta e ad una crescita da salvaguardare! Da segnalare, sempre a proposito di economia che va protetta con una politica monetaria ancora espansiva, la debolezza dell’industria europea che potrebbe aggravarsi se, al termine dei 90 giorni previsti, Trump (°) dovesse decidere che le auto tedesche sono un pericolo e richiedono un dazio del 25%. Quello automobilistico sarebbe, inoltre, uno dei settori più colpiti da un’eventuale hard Brexit. In conclusione sicuramente siamo in una di quelle fasi di mercato curiose in cui le buone notizie diventano cattive e viceversa. Una politica monetaria troppo espansiva potrebbe essere considerata dai mercati come segnale di una recessione in arrivo e determinare un calo delle quotazioni, ma forse non siamo ancora a quel punto!
(*) Tra gli investimenti cinesi, come è noto, ci sono quelli per la via della seta. Sono di questi giorni le forti polemiche circa un eventuale adesione dell’Italia in modo autonomo rispetto agli altri partner europei.
(**) Alla conferenza di Monaco sono emersi anche altri elementi di contrasto tra Europa ed USA quali il ritiro dall’Afghanistan e le relazioni con la Siria. Non sono mancati anche situazioni di imbarazzo tra gli alleati europei in particolare riguardo alla decisione della Merkel di appoggiare il Nord Stream due, un gasdotto che dovrebbe passare nel mar Baltico evitando l’Ucraina. Una mossa che non piace ai partner europei che la Cancelliera giustifica con la sua posizione intransigente verso la minaccia di Putin all’ex repubblica sovietica.
(°) A proposito di Trump può essere interessante notare come i democratici stiano facendo passare diverse leggi alla Camera per conquistare il favore degli elettori e controllare anche il Senato nel 2020. Hanno approvato una legge per un maggiore controllo sulla vendita delle armi effettuata via internet e alle fiere (ne esiste una, ma vale solo per gli acquisti fatti nei negozi). Stanno cercando di rendere più facile recarsi alle elezioni (al momento negli USA si vota in un giorno lavorativo e molti devono scegliere tra mettersi in coda ai seggi o recarsi al lavoro). Stanno cercando di intervenire sulle distorsioni nella composizione dei collegi elettorali che permettono di “pilotare” il voto.
G.G e M.R.
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