Omicron è arrivato ed ha scoperchiato il vaso.
Per la maggior parte del 2021, un fil-rouge ha dominato il pensiero sugli investimenti.
La ripresa della crescita globale, sostenuta dalla riapertura economica consentita dai vaccini e alimentata da facili politiche monetarie e fiscali, avrebbe aumentato gli utili aziendali.
In un mondo di tassi di interesse reali negativi e premi per il rischio di credito non gratificanti, l’assenza di alternative (TINA dall’inglese There Is No Alternative) e la paura di perdere (FOMO dall’inglese Fear Of Missing Out) hanno spinto i mercati azionari sempre più in alto.
I pessimisti e le Cassandra sono stati messi in disparte.
Soldi facili e forti guadagni aziendali hanno spinto le azioni globali al rialzo. Nella stagione degli utili societari del terzo trimestre conclusa di recente, l’utile per azione statunitense è aumentato del 40% rispetto ai livelli di un anno fa. Tre quarti delle società S&P 500 hanno riportato profitti migliori del previsto e quattro quinti hanno superato le stime dei ricavi.
Questo ottimismo si è riflesso nelle quotazioni. I multipli dell’indice prezzo-utili dell’anno prima sono recentemente saliti a livelli che superano di un terzo le norme a lungo termine.
Tuttavia, c’è una preoccupazione strisciante: una combinazione di inasprimento della politica monetaria, pressioni sui margini e valutazioni elevate avrebbe sfidato o addirittura rovesciato il consenso rialzista delle azioni trasformandolo in un trend ribassista.
Questa minacciosa triplice convergenza è stata fin qui ripetutamente proiettata nel futuro, ma ora rimandare potrebbe non esser più possibile.
Il catalizzatore immediato è rappresentato dalla variante Omicron del Covid-19, che minaccia di innervosire consumatori, lavoratori, imprese e governi, inducendo una domanda ma anche un’offerta più debole.
La preoccupazione a breve termine è che la spesa potrebbe calare improvvisamente (viaggi, tempo libero, ospitalità e ristorazione). Ma più in generale, se i lavoratori hanno paura di andare al lavoro, le catene di approvvigionamento potrebbero indebolirsi o interrompersi. Le impennate dei prezzi sarebbero trasmesse rapidamente sugli indici dei prezzi al consumo. La stagflazione, una piaga degli anni ’70 ricordata da pochi investitori e politici di oggi, potrebbe risorgere.
Questi sono motivi sufficienti per preoccuparsi delle implicazioni economiche e di mercato di Omicron, ma c’è altro.
Nonostante gli straordinari guadagni del 2021, lo slancio dei profitti aziendali sta diminuendo. Gli analisti stimano che la crescita degli utili per il 2022 sarà del 8%, ben lontano dal ritmo dell’anno passato. La crescita degli utili da un trimestre all’altro è in decelerazione da metà anno e se continua così si arresterà, o diventerà negativa, entro la primavera del 2022.
I maggiori costi per materiali, energia e manodopera sono uno dei motivi. Ma anche il netto miglioramento dello scenario trainato dal taglio dei costi (legato alla recessione) è terminato.
Le aziende hanno capito che c’è necessità di assumere, sviluppare capacità, garantire forniture solide, pubblicizzare e riorganizzare la distribuzione e le vendite; questo sta mediamente facendo aumentare i costi più velocemente dei ricavi.
Per i mercati azionari le future delusioni sugli utili saranno una grande sfida. Se aggiungiamo anche la minaccia di un’inflazione più elevata – o stagflazione se la crescita rallenta (aumenti dei prezzi e dei salari) allora, all’improvviso, la traiettoria futura del mercato appare accidentato, persino precario.
M.R.
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